Famiglia Reale Paternò Castello Guttadauro d'Ayerbe d'Aragona di Carcaci Principi d'Emmanuel


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Lettera ai Nipoti

Francesco Paternò Castello e Sammartino


Duca Di Carcaci

L’Ordine Del Collare

Patrimonio Della Serenissima Regal Casa Paternò

Catania

Dalla Stamperia Dell’Università

1851

AI MIEI NIPOTI

PERCHE’ EMULINO LE GESTA DE’ NOSTRI MAGGIORI






Mentre sento ogni dì venir meno le mie forze, desidero che non mi segua nel silenzio eterno della tomba una scoperta che ebbi la ventura di fare framezzi i manoscritti, mal conservati e pietosamente ridotti, dell’Archivio di Casa Biscari.
Molti anni fà ero intento alla compilazione di alcuni Pensieri per l’istituzione del Gabinetto Letterario della Accademia Gioenia ed, ove trarne insegnatamente e guida rivolsi le mie ricerche sulle osservazioni lasciate pell’Accademia degli Etnei dal nostro Grande antenato Don Ignazio Paternò Castello Scamacca quinto Principe di Biscari, che ne fu l’intelligente riorganizzatore e ne resse si degnatamente il Governo da suscitare l’ammirazione dei più eccelsi luminari della Scienza.
Trà quelle carte ruinate dall’umido e dal tarlo mi vennero sott’occhi degli ampi appunti da quella nota mano vergate su di un Suo viaggio nelle Isole Balearidi. Che il sullodato Principe fosse stato quel grande studioso letterato, archeologo, storiografo, instancabile ricercatore del vero e del bello, non mi era certo nuovo, ma che avesse valicato i mari per visitare quel malioso Arcipelago Spagnolo su cui Regnarano i nostri Maggiori, mi incuriosì tanto che tralasciato ogni altro compito, m’immersi nella decifrazione di quel documento che sarebbemi riuscito inintelligibile se non avessi avuta tanto dimestichezza alla grafia di quel Grande.
Trascrivere letteralmente quel documento non è più possibile per umana opera, ed io mi sforzerò a dare un nesso logico alla frasi, or monche per le devastazioni ed or invisibili per le ampie macchie, a ciò guidato dalle cognizioni che non mi mancano sulla derivazione della nostra Illustre Prosapia. Ma tale fatto è trascurabile se si pensi che trattandosi di appunti in attesa di svolgimento presentavano forti manchevolezze di elegante forma letteraria. Lo importante si è che il nostro Grande ci rivela una nuova folgorante luce che viene vieppiù ad adornare le virtù della Gens nostra; viene a darci la certezza che quando lasciammo la nostra bella Sicilia 22 costrettivi dai sommovimenti particolarmente burrascosi della transizione Normanno-Svevo e dalla imperial persecuzione contro lo quale si scagliò l’ammonimento Celeste Noli offendere Patriam Agathae, quia ultrix iniuriam est e, esuli in Aragona presso i nostri Regal consanguinei, venimmo investiti della Sovranità su Maiorca e Minorca, animati dal sacro fuoco del quella fede Cristiana che già ci fece vittoriosi in Sicilia contro il Saraceno, istituimmo l’ORDINE DEL COLLARE perchè si formasse una eletta schiera di Cavalieri a difesa dei nostri Stati contro le incursioni Barbaresche e perchè nella vicina Iberia lottassero alla estirpazione dell’eresia Maomettana.
Il Principe Don Ignazio II Paternò Castello di Biscari dovette conservare indubbiamente la speranza di attingere maggiori cognizioni e di raccogliere più vasta documentazione e di recuperare, forse, quella affidata ad un traduttore e di poi smarrita, per svolgere uno esauriente studio, ma la morte lo colse mentre ancor accudiva alla Sua produzione inesauribile. E lasciò instimabili tesori di dottrina tutt’ora inediti e molti, aimè, smarriti e distrutti.
Della Sua attività, fra le principali Opere, ricordiamo Poema in lode della Sacra Real Maestà di Carlo Sebastiano Borbone Re del Regno delle due Sicilie (Catania, S. Trento, 1740); Discorso Accademico sopra una antica iscrizione rivenuta nel Teatro Greco della Nobile Città di Catania, recitato nell’adunanza dei Pastori Etnei, da esso Principe (Stamperia del Vescovil Seminario, 1771); Lettera al Sig. Canonico Schiavo sovra un piombo del Concilio di Basilea (Catania, 1772); Viaggio per tutte le antichità della Sicilia (Napoli, Stamperia Simoniana, 1781); Ragionamenti ad una Signora sovra gli antichi ornamenti e bubboli dei bambini (Firenze, Crucsa, 1781); Ragionamenti sovra i vasi Murrini (Firenze, Crusca, 1781); Descrizione del terremuoto del 5 febbraio 1783 diretta alla Reale Accademia di Bordeaux (Napoli, Mazzola, 1784); etc., etc. oltre come ho detto, tutti i lavori inediti e manoscritti vari di cui alcuni importantissimi.
Della vasta bibliografia che lo riguarda và ricordato il profilo del Percolla dato recentemente alle stampe in Biografie di Uomini Illustri Catanesi del XVIII sec. (Catania, Pastore, 1842); il Dante germanico, Wolfgango Goethe tessè i suoi elogi e sempre ricordò con ammirazione il Grande Siculo Mecenate, il cui museo conobbe in occasione del suo viaggio nella nostra Terra del sole e delle zagare. Federico Münter nel Viaggio in Sicilia (Palermo, Abbate, 1823) lo chiama Maestro e l’Ambasciatore dei S.M. Britannica Sir William Hamilton nei suoi Campi Phlegraei (Napoli, 1776) lo addita agli studiosi come esempio luminoso.
Non è mia intenzione quella di scrivere su quel Grande consapevole che la pochezza mia adombrerebbe anzichennò l’alone di luce che già lo circonda, ed andrò diritto al mio compito, lasciando a più degni lo svolgimento di una
Sua esauriente biografia.
E tornando a commentare ciò che ebbi la ventura di leggere in quel manoscritto, non posso traslasciare di porre in evidenza che, quel Principe, attingendo notizie sul campo stesso delle nostre maggiori glorie, in un Convento Francescano nei pressi di Fornelli in Minorca ebbe a rilevare da una antica pergamena che uno dei primi Grandi Inquisitori dei quell’ORDINE DEL COLLARE fu un Cavalier de Gotador da cui deriva la Famiglia Guttadauro dei Principi d’Emanuel la cui erede D. Eleanora è da un decennio appena convolata a nozze con il mio amatissimo fratello D.
Giovanni.
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Capricciosi ritorni della Storia !
Addunque, l’ORDINE DEL COLLARE, indubbiamente Patrimonio della nostra Casa, non può assolutamente, però, aggiudicarsi per discendenza, all’una o all’altra Linea dei Paternò, che più che immane, impossibile empresa sarìa quella di tracciarne la genealogia anche perchè non puòdesumersi con precisione quand’ebbero a riversarsi al Ceppo Siciliano quei diritti derivantigli dall’estinsione del Ramo Spagnolo. E per lo tanto, quindi, quei diritti seguiranno la legge della prelazione per opera di Colui che memore dè Suoi maggiori ambirà riattivare quella Milizia che, oggi, se non potrà essre rivolta come per lo passato, alla debellatio armata manu della eresia, potrà bene, con il verbo e con le opere di umana pietà, lenire le altrui sofferenze, deplorare il vizio ed il malo costume continuando ad edificare l’immensa ed inesauribile Arca del Cristiano Esempio, principiato dal Grande Martire del Golgotha !
A voi, oh miei piccoli Nipotini Mario ed Enrico, che al sangue Regal dei Paternò mescolate quello del Grande Inquisitor de Gotador, addito la nobilissima impresa, e se raccoglier vorrete l’invito vi renderete veramente degni di questa Famiglia Eccelsa, che attraverso le secolari vicende della nostra Istoria, corsa per milleni da dominazioni di Gloria e da bivacchi di battaglie, che dal fasto a dal dramma del nostro Grande Casato, intorno al quale si sono polarizzate intere tragedie e complete apoteosi di Popoli in arme, se generarono gli Artefici della compiutezza luminosa della attuale Civiltà Cristiana ! A Voi che appartenete a questo Ceppo che visse, esaltò e sofferse nel fremito dei Gonfaloni e nell’ombra dei Manieri la sintesi vera di tutto un passato, ora folgoramnte ed ora cupo, nella quale si è arroventata e saldata la Potenza e la Fama del nostro serenissimo Casato, a Voi, giovani, degni discendenti di quella Cavalleria generosa che ci tramandeò il significatissimo motto Post tenebras spero Lucem, addito la Nobile impresa di riattivare quell’Ordine del Collare e proseguire nell’opera dei nostri Grandi, ammaestrandovi che l’ornamento degli Avi Illustri non dura se i discendenti non continuiano ad imitarli !
E seguiamo il Principe D. Ignazio di Biscari nel Suo viaggio.
L’Abbate Domenico Sestini, Accademico Fiorentino, a proposito di viaggi del detto Principe ci lasciò questo suo significativo apprezzamento : Il viaggiare con i grandi è la più bella cuccagna del mondo, io mi trovai in questa occasione ben montato a cavallo e circondato da un foltissimo stuolo di staffieri e di gente di servizio recanti ristori e rinfreschi a dovizie, che quasi avrei avta l’ambizione di scordarmi del mio piccolo essere. Partiti tutti a cavallo, eccetto il Principe che andava in lettiga, si prese da Catania la via di Misterbianco e Paternò per giungere all’avito castello d’Aragona… Possiamo così imaginare quel che fu il viaggio del Principe alla volta di Minorca. Una nota spese ritrovata fra le carte dell’Archivi Biscari ci dà una cognizione esatta dello splendore cui si circondò Ignazio in occasione de quel viaggio, non perch’Egli vi andasse in visita ufficiale ma perchè le Sue abitudini Regali Gli faceano ritenere necessità le magnifiche superfluità.
Sembra che salpassero da Trapani ben tre Galee con circa trecento uomini di ciurma più i numerosissimi famigli del Principe e la Sua Segretaria : un complesso non inferiore a cinquecento persone ! Per previgenza, onde la Principesca Mensa non mancasse di carni fresche si imbarcaraono 1500 polli, 250 agnelli e numerosi porcellini di latte. Non si trascurarono 150 casse di oggetti ed indumenti rari e preziosi per i donativi che il Principe volle recare a quelle Popolazioni che da noi credevansi bisognose per malgoverno Spagnolo.
Le spese che la Segreteria del Principe annotò, assommando semplecisticamente il tutto in pochissime voci ascende a 31,895 Ducati, somma enorme se si pensi che il famoso ed immenso Palazzo Biscari, monumento di arte e di richezza, è valutato per Ducati 32,100.
Ed adesso cercherò di trascrivere con la maggiore fidelità possibile quanto potei attingere da quelle note raccolte sui luoghi del nostro Reame e, poi, alla rinfusa posti assieme.
Il nostro Ignazio a mò di proemio traccia un compendio giustificativo sul Suo viaggio e sulle origini della famiglia Paternò in Sicilia che, se pur abbastanza note non tralascio di osservare anche perchè possa conoscersi dai posteri ciò che di noi pensava il Biscari.
Le vicissitudini che portarono lutti e stragi – è Ignazio che scrive – nell’antico Reame di Arles ove fioriva il Ceppo dei Paternoy Sovrani d’Embrun, cadetti dei Monarchi di Barcellona ed di Provenza, discendenti da Carlo Magno, culminati con la perdita dei propri Domini ad opera di Corrado III Re dei Romani, indusse il Capo di què nostri primi prodi ad osar la fortuna delle armi e per lo tanto accompagnossi al Normanno suo Parente cercando gloria nell’Italia del Sud, schiava del Saraceno.
I memorabili scontri di Sicilia fecero rifulgere il coraggio dell’indomito Conte Roberto Paternoy d’Embrun e quando doveva Catania stringersi d’assedio, fece costruire sulla espugnata Batarnu quel Castello a questo effetto, avendo à quello ed à tutto quel tratto di Paese dato il suo nome.
Nel mio Palagio, è sempre Ignazio di Biscari che scrive, v’è un quadro del 1500 che lhui ravvisa, con la dicitura : “Ex eccelso Normannorum sanguinis Embrunique dominantium Rubertus Paternò miles originem traxit, vere e natura militiae indictus suorum gloriosa gesta et in pace et in bello non disinit, sentimentia consilia, et andamenta valde accepta fuerunt a belligeris haeroibus Ruberto Guiscardo, et Rogerio Comite fratribus; quapropter dictus de Paternò non solum sub eorum vexillis tantum ductor exercitus proclamatus fuit, sed commensalis, consiliarius, et consanguineus eorum distincto honore reputatus, non sine munerum largitione nonnullorum pheudorum, terrarumque cum vassallis, sicut et documentis ad posteritatem apparet. Et ut tanti viri mei consanguinei memoria in oblivione non remuneret; ego Alphonsus Paternò de mandato Caroli V Caesaris Imperatoris Maximi domini mei sempre Augustissimi ex alia tabula e vetustate in parte consumpta super hanc tabulam translatari, et pictari feci a Polidoro an. Dni 1535.”
Di gloria in gloria i Paternò divennero i primi Signori di Sicilia fin tanto che lu pronipute di Robertu a nome Costantino, nel 1140 circa, rinnove i legami di sangue con la famiglia regnante sposando Matilde Avenel nipote del Re Roggero e viene investito della più grande Contea di lu Regno, riservata solo a Principi del Sangue. Di lui ce ne lascia magnifica memoria la lapide funerea dalle pietose mani della vedova sulle sue spoglia posta nel 1168 e che conservasi nella raccolta del mio Palagio.
Lo stemma dè Paternò chè quello delli cadetti dè Sovrani di Barcellona scolpito fu con quello del Normanno Signore e con la insegna della Nobile Cittade di Catania sulla fronte della Cattedrale della medesima che era la Capitale di lu Regno.
Ma nei Divini disegni, prosegue il nostro Ignazio, che la nostra picciuolezza dee accetare come pruove per la humana redenzione, non poacque lo durare di quello stato a caalron tosto l’Imperiali Eserciti e le persecuzioni di Arrigo e Federigo indussero i nostri grandi a abbandonar la Sicula terra (leggi Mugnos “Theatro Genealogico”) per portarsi novamente in Iberia presso i loro Real Congiunti di Aragonia. Avvegnacchè, però, qualche prode, soprafatto ma non domo, della medesima nostra Nobile stirpe rimase nella Insola a tenere vivo lo foco della Regale legittimidade. Ma di poi che furon vinti con l’Astuzia Manfredi e Corradino, anni più amari vennero per la nostra terra e l’usurpator d’Anjiù tiranneggiò insino alli Vespri, quando i Paternò col ritorno delli magnanimi Monarchi, e spezialmente con li Martini, tornaraono in gloria suprema.
Ma in quelli anni che sembrare puote li più scuri per la Potente Famiglia altra, invece, e più favillante luce et lustro li Paternò ebberossi allorquando fuggiaschi in Iberia furono investiti di Regal Sovranitade sulle insole Balearidi e Pytiuse.
La nostra parentela colli Aragonesi appare in Siculi atti sino al 1297 con Ximonis de Paternione Aragonensis (Transunto di Messer lo notaro Bonafede della clarissima Cittade di Palermu) per lo matrimonio di la sua nipote Olivella con lu Signore Errico Grimaldo, e tosto tornarono in Catania, li Paternò e di quello loro Iberico Reame raccontarono li più gloriosi fatti, ma li terremuoti del 1693 distrussero li archivi privati et quelli Curiali et Senatoriali, così che arduo trvaglio sarebbe stato rammemorare quelle straordinarie gesta.
Antiche carte di geografia ci recarono quelle terre con lo nostro stemmo a segno di Sovrana potestatde (ne ho una fra li piange del mio Palagio) ma notizie più precise volia io havere dopo quelle a noi recate dal nostro Padre Ferdinando Paternò della Compagnia di Sant’Ignazio che alla Corte di Filippo II conobbe D. Juan e D. Alonso Paternoy i quali gli aveano assiscurato essere il ramo dei Paternò d’Aragonia di commune origine con quello Siculo e appunto perchè di origine Regale in Espagna godeano del privilegio singolare di non puotere mai subire, per niuna cagione, pena di prigionia o di morte.
Nel 1602, scrive lo nostro storico Scipione Paternò Colonna in suoi studi del 1640, rivela il nostro Ignazio, venne in Sicilia da Spagna un monaco ad invitare alcuno della nostra Casata a passare in Aragonia per casarsi con una figlioletta di què Paternoy, rimastasi erede di grandissime ricchezze, per conservare in vita quel Regal Balearide Casato già ridotto in pochissime persone femmine e pochi maschi vecchi o malati.
E quando il Barone Paternò di Raddusa è Ambasciatore di S.M. Cattolica in Spagna, trova la famiglia prossima alla estinsione con un Conte di Fruentes (leggi manoscritti di Spagna nello Archivio Raddusa in Catania) che divenuto suo grande amico gli racconta come dopo che il regno Balearide fu aunito alle Spagne la Famiglia Paternoy ebbe a dividersi, parte segnendo iRegali consanguinei Aragoniesi in Sicilia e parte ritirandosi in terra firma Espagnola ove per la loro comune origine con la Casa Sovrana acquistarono grandi honori ed un Cypres, conquistatore della fortezza di Decia, tenne al battesimal fonte l’Infante Ferdinando che fu il Re Cattolico (leggi pure li annali del Ciurita) mentre Gonzales riannodò alla epoca di Carlo V i suoi legami con li Aragoniesi sposando Isabella figlia di D. Alonso de Aragonia Conte de Rigaborce (anche il Ciurita ne scrive).
Il conte di Fruentes, ci dice sempre il Barone di Raddusa, possedeva moltissimi documenti dell’epoca in cui la famiglia Regnò avendo curato i Suoi maggiori le Patrie e famigliari memorie, asportando pure delli Archivi de lu Regno Balearide molte pergamene per recarli secoloro.
Malo auguratamente, come se un inesorabile destino pendesse sulle nostre memorie, osserva il nostro Ignazio, quel che fece il terremuoto in Sicilia lo continuò lo foco in Espagna perchè il Fuentes (sic) dice allo Barone Raddusa, essersi assai pergamene distrutte nello foco che durante vita del suo genitore rovinò molta parte delli Archivi del Castello Paternoy in quel di Huesca nell’Aragonia. Ma accenna al Barone di Raddusa ad una Militia armata di cui il suo avo gli parlava e che sarebbe stata fondata dai Reali Balearidi, a similianza dè Crociati per difendere quelle terre e per estirpare il Saraceno Dominio sulle Iberiche regioni.
Spinto dall’amore per la mia Famiglia e per li studi storici, ci dice il Principe, decisi di ricarmi sui luoghi del nostro Regno per compiere quelle ricerche che in Sicilia non presentavonsi possibili. Fu così che salpai dalla occidentale costa della mia Patria con compangnia di geografi, dotti e traduttori alcuni dè quali presi al mio servigio da Francia e da Fiorenza e in una nuvolosa giornata di mezzo tempo approdai sulle coste nordiche di Minorca in un golfo che colà chiamono di Fornelle.
La popolazione assai rada, primitiva e solo brava nell’arte del pesce, ci consigliò di internarci fin verso la costa di Santa Catharina e per vie scoscese, con le cavalcature recate dalla Sicilia, unitamente ad una corte di 25 persone che oltre alle spade recava qualche buona arma focaia, mia avviai. Il malo tempo ci costrinse ritardare la marcia prendendo casa in una ampia caverna escavata ai endici di alquanti monti, e finalmente si giunse alla porte della Castella, ma nulla di rilievo potei notare.
Proseguimmo, dopo un riposo di 15 giorni per Citadelli ove un venerando monaco colà incontrato ci informò esservi un antico convento detto de li Cavaleri nell’eremo di Nostra Dama non distante da Fornelle da dove quelli ignoranti pescatori ci distolsero.
Ripresa la via per ritroso, dopo faticoso cavalcare giugnemmo in un fresco e opulento boschetto e quale non fu la mia maraviglia nello iscoprire sul portico di quella Casa di Cristo le armi iscolpite dei Paternò !
Il Priore, Don Gaspar ci accolse alla sua frugale mensa e dopo consegnatigli la ricca limosina e seppe chi mi fosse si pose tosto a nostra disposizione con tutti li suoi frati aprendoci la biblioteca e dalle pergamene potè rilevarsi che quello eremitaggio fu donato per Regia magnanimità da un Cyprés Rex le cu armi dimostrano chiaramente tratarsi di un Paternoy, mentre in un idioma fra spagnolo e latino si potea desumere essere quel pio loco destinato alla religiosa pratica e al gioco dell’armi per i neofiti di una Militia di Cavaleri istituita da esso donante Prencepe mentre una regola dalla quale traspare la sicula lingua frammista a saracene definizioni, come nel nostro primitivo sicilioto volgare, rivelava che quel ramo, appunto, dè Paternò proveniva dalla Sicilia.
Su tali carte di pecora leggevasi la firma d un Grande Inquisitor Milos Pedro de Gotador, e quelli monaci che tramandosi le antiche dicerie ci raccontarono essere quella familia de Gotador una miscuglianza avvenuta dal primo Sovrano che invaghitosi di una nobilissima Donzella figlia di un Barone di Palomera in Maiorca ne ebbe, mori uxor, un putto tanto bello e gentile che esso Prence volle farlo gran Signore con aggiudicargli il significativo nome de Gotador e donandogli la Castella di Eumenle nè pressi dè menti Fornelle in Minorca.
Da quelle Castella, osserva Ignazio, deriva il titolo Principesco d’Emanuel che la Famiglia Gotador, divenuta Guttadauro ha, ci tempi trasformato quando accompagnando i Paternoy ebbe a traslocarsi in Siculo Regno.
Se proprio quel Cyprés fosse stato il primo Monarca o se il nome com’è facile, ritornò nè suoi nepoti non se puòl dire anche perchè quei documenti non potei bene osservarli avendo la sventura di consegnare in copia al dotto Jacopo da Arezzo detto il Moncio che avrebbe dovuto tradurreli in volgare, andando ismarriti cola sua morte repentina e forse violenta. Invano scrissi, di poi, ad amici d’Etruria, ma li pochi oggetti lasciati dal detto Jacopo furono dà suoi nepoti rapati e venduti a vili mercanti, unitamente alle carte ed alli suoi studi.
Credea di trovare maiori tracce di quella dominatione Paternuense in quel di Maiorca, insula più importante dello gruppo e loco, forse, della Corte e volli prendere mare ma prima di lasciare Minorca nella medesima cittadella dentro lo golfo di Maon e in una cappella della Castella, con grande sorpresa, trovai una divotione per la nostra Sancta Agatha Catanese.
Per quello casale trovai una sorta di signa piccola, gratiosa e piena di discolezza che fu mia grande meraviglia trovarsi in quello loco.
Ma la gente ci disse che anticamente le aveano recate dalla Iberia il chè non credetti essendo animale Affricano.
I miei famigli riuscirono a chiapparne una pargola che secomè recai e che è diveniuta una piacevole e scherzevole compagnia.
Partiti che fummo presi terra a Calalonga ove sparsasi la voce fra quelle popolazione mancando un degno aloggio ci parlarono di un gran Signore di Alcudia di antica nobilitade che li altri ricchi non erando altro che mercanti di vili origini et ignoranti de lo passato. Così divisai di andare in Alcudia ma per lo vento riparammo alla Castella di Menacor ove stà una certosa antica ma nol potei visitare perchè chiusa quasi in abbandono tanti erano li rovetti che la divoravano con famelica rabbia.
Con gratia di Dio si vide Alcudia ma prese parole si seppe che lu Signore che io cercavo era il primo Signore di lu regno e la sua Castella era for a di lu borgu nelli pressi di un pantano con tanta caccia.
Distribuite alquanti donativi trovammo molti garzoni che si offrivano di farci strada e quando la cavalcata giugne nelli domini di cotanto Signore molti gurda caccia, famiglie camperi fannosi incontro e sentito dal mio primo Cavalcante chi mi fossi corsero ad avvertire lo Signore e tosto presentossi in ricco carro portato a braccia di homo lo vecchio Barone Gancia de Xerima ultimo rampollo di una Casata di prodi cavaleri che volle ospitarmi assai sontusamente e con molte cerimonie.
Egli era signore di mezza insula a dalla sua favella potei conoscere che li suoi antenate appartenavano alla Sociedad de Santha Agatha instituida da quelli Sovrani Balearidi che tanta gloria dettero a lu paese e che il mamlo goberno Espagnolo fece perdere molte notevoli cose, che li suoi bernatori fecero spoliatione delle ori chiusi nella antica Chiesa di Maiorca dove vi era una statua d’oro della Santa siculiota con appeso lu grande collare di lu Re Cyprés de Paternoy che recava lu mottu Post Tenebras Spero Lucem e la invocationem Divae Agathae con a pendulu una medaglia con le armi delli Paternò che nella fascia traversa chuideva, in nero un albero appuntito e fino che potea essere un cipresso dal nome e per rimembrantia del fondatore e Grande Mastro.
Ciò poesi ben vedere da un dipinto di antico cavalere delli Xerima che era in un muro della sala di arme della rocca ove rimasi trentacinque dì.
Quel sontuoso maniero che ospitò i Re, pur vedovato dai Sovrani, conservava nelli suoi muri li segnali della antica maestade e le usanze dei tempi Regi.
Il vecchio gentiluomo de Xerima ricordava ancora che ai tempi della sua fanciullezza si tenevano le giostre ed i tornei come ai tempi regali e venivano grandi Signori di Spagna così come quando i Xerima primeggiavano in quella militia di Sancta Agatha.
Le sue stanze aveano tanto pretioso mobilio e la sua mensa colma di coppe d’oro e d’argento.
A tutti questi splendori corrispondeva l’animo del Signore che pur nella sua solitudine direi quasi selvatica vivea di ricodi e di rimembrane.
In un magnifico telo di summa manu spagnolo, ci dice sempre l’ocular testimone Don Ignazio, v’era figuratione di sontuoso salone con un Cavalere eletto in ginocchioni davanti il Gran Mastro e Re e recitava li giuramenti, consacrato venendo dallu stesso Prence che gli toccava il capo con la sua spada.
Il Grande Cerimoniere imponeva il Collare al nuovo Milite mentre l’Inquisitor letta la relatione dei Mastri Istruttori firmava l’esame spirituale cui era sottoposto il neofito. Cavaleri anziani ricoprivano lo eletto col manto di panno rosso labbrato di oro quasi a ricordare li colori dei Paternò e foderato di pelli di vajna mentre le Damigelle della Corte presa da un altare la spada la cingevano al fianco del novo Cavalere.
Sul manto riccami d’oro figurano due agnoli co l’ali aperte che in triunfo portano la verginella Agatha.
Ora non v’ha dubbio che i Paternò, osserva Ignazio, fuggiti da Sicula terra portarono sedcoloro quella fervida divotione per la fanciulla martire sul cui scrigno conservato nella Catanesia città, più tardi col trionfante ritorno dè i Paternò, furono iscolpiti inargento e in oro, le nostre stemma e ripetuti in tutti quattro late.
In niuno diverso modo scioliesi lu misterio che l'Ordo Balearide fu fidato alla celestie prutetione della Martire Cataniese.”
Poi il Principe prosegue a raccontarci il suo viaggio ma null’altro di notevole si rimarca interessante la famiglia; prende qualche disegno di antichità anche lui crede della epoca dell’Impero Romano, se nonchè ruderi della Porta di Maiorca antica e di Palomera gli rivelano le nostre armi ben scolpite ma prive del cipresso.
Ignazio si spinge insino al gruppu insulare delle Pytiuse e solo a S.Hilario, in altro antico convento trova una sepoltura di un Jayme de Paternoy i cui ricchi ricami della corazza e della visiera l’indicano d’altissimo lignaggio, ma il cordone di penitenza che gli cinge li fianchi fa pensare che uno di quei prodi stanco delle umani grandezze e carico di glorie e di vittorie, volle in quella solitudine misticamente donarsi a Dio.
Ignazio ci riferisce, con meraviglia e non a torto, come mancasse affatto lo stemma dei Paternò.
Attinte tali cognizioni il Principe veleggia sulla via del ritorno e proponesi di svolgere un esauriente lavoro e sulla carta ferma le sue memorie ma non compie l’opera sicuramente a cagione della dispersione e delle vane ricerche di quelle copie che affidò al dotto Jacopo da Arezzo perchè glie li rimandasse tradotte al volgare.
Poca cosa sono invero tali notizie ma sufficienti a dimostrarci come i Paternò, Regnando sulle Balearidi, non dimenticassero la Vergine Siciliana e come vollero onorarla. E basta ancora per dimostrare che degni eredi del valore Normanno, degni nepoti di Carlo Magno, Cavalieri senza macchia e senza paura, vollero fondare una Milizia Armata a simiglianza dei Crociati per la difesa di Cristo e della Sua Santa Dottrina !
Impossibile impresa, come più sù ho detto, vennemi il copiare fedelmente gli appunti di D. Ignnazio e spesso ho dovuto sostituire le mie alle Sue parole, e, però, non alterato rivelasi il nesso che con esattezza ho potuto trarre, trascurando, invece gli apprezzamenti sulle culture del suolo, sui panorami, sulle abitudini e sulla fauna.
Che non interessasse il Casato ho voluto solo riportare il particolare della scimmietta perchè, essa, recata a Catania, fu un caratteristico adornamento dei palagi del Principe e spesso le folle, come ci riferiscono le cronache del tempo, si adunavano sotto le Principesche balconate per guardare, curiosi, lo strano animaletto trastullarsi con oggetti e con dolciumi vari.
Ho scritto queste note mentre appena spengonsi i sommmovimenti che han turbato il nostro Regno, sommovimenti che ci ammaestrano come oggi, più che mai i popoli abbisognino che il verbo di Dio insegni loro che fallaci sono i ditirambi degli arruffa folle e come il Sacro Trono, depositario di diritti Divini sia il naturale retaggio della nostra Santa Religione.
Che questa Casa Paternò di millenaria potenza, di gloria infinita e di Cristiana virtù, militi, ad esempio ed ammaestramento; che emuli li antichi postulati, in una Congrega che raccolga il fiore della fede, della carità, della nobiltà e della bontà, riprendendo lo scettro di quel Magisterio creato da un nostro grande ad offessa del Satanasso.
La divisa dei Paternò Castello Impavidus Pavidum Firmo ben può sostituire l’altra de’ nostri Maggiori, che se Luce è stata fatta, oggi occorre che il forte aiuti il debole perchè non si lasci traviare dalle nuove pericolose e false dottrine !
Dalla Villa Carcaci di Viagrande nell’ottobre dell’anno del Signore 1849

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